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SUL CINEMA DI RICERCA
La vita intellettuale, la sperimentazione esistenziale e quella cinematografica formano nel loro insieme un tutt’uno che eccede ogni tentativo di compartimentazione volto ad organizzare, catalogare, presentare le differenti produzioni cinematografiche. Questo slancio creativo può intridere i nostri gesti quotidiani, questa è la ricerca più alta. A volte, ciò non può avvenire senza uno sfogo artistico parallelo, oppure, nei momenti migliori, esperiamo una sorta di esubero di presenza. Da qui può nascere un testo, una musica, una performance, un film… Quando però la realizzazione di un'opera non proviene da questo "luogo d’accensione", non si sta facendo ricerca artistica: in quest'ambito si usano ricette prestabilite, si cerca di convincere o sedurre un pubblico astratto e, nel peggiore dei casi, si permette che lo slancio creativo venga assorbito e omologato da produzioni finalizzate all’intrattenimento e all’omogeneizzazione sociale. Quando invece dei film si oppongono in toto a questo processo, con coraggio, generosità e spirito costruttivo, ne emergono dei film più o meno sconvenienti, capaci di rimettere in causa gli assunti del nostro vivere quotidiano. Se la maggior parte delle produzioni audiovisive funzionano come uno specchietto per le allodole, il cinema di ricerca è un danzare senza specchi. Le sue forme luminose e dinamiche son così sghembe e genuine che non si saprebbe proprio dove metterle, né come spettatori né come programmatori; eppure proprio quelle forme e quei movimenti possono inspiegabilmente arrivare a riattivarci singolarmente e pluralmente. Allora lo schermo smette di essere scudo, muro, propaganda, ideale, distrazione... E si fa ponte. Ci fa accedere al contatto con il pensiero altrui e alla nascita di nuove versioni di noi. Ci fa sentire porosi. Plurali. Energici, nella nostra fragilissima microscopicità. Potenti, o leniti nella nostra impotenza, in quanto partecipi. Crea un legame che si dà nell’eterogeneità e al di là dei ruoli sociali. E quel sentire e quel pensare, nati durante un ascolto o una visione, si propagano e accompagnano il nostro sguardo nel quotidiano. Fruire del cinema di ricerca significa insomma andare a zonzo con la curiosità e il desiderio in cuor proprio di imbattersi in un incontro autentico. Ovviamente, in quanto fruitori, ci apriamo e ci trasformiamo volentieri solo quando si riconosce nel gesto dell’artista un sincero sforzo di significazione e di convivenza con il non-senso. Così fare cinema di ricerca significa tentare di comporre gli stimoli e gli slanci che ci attraversano, rispettando la complessità delle cose, accettando la nostra mutante singolarità, tenendo alto il nostro senso di partecipazione e di responsabilità. Il cinema di ricerca può essere portatore di un afflato radicalmente democratico: un lavoro asservito all’intrattenimento non sarebbe cinema di ricerca così come non lo sarebbe un film che si sollazza nell'anticonformismo e nell’auto-referenzialità. Lunga vita al cinema di ricerca, in tutta la sua molteplicità.- AM
La vita intellettuale, la sperimentazione esistenziale e quella cinematografica formano nel loro insieme un tutt’uno che eccede ogni tentativo di compartimentazione volto ad organizzare, catalogare, presentare le differenti produzioni cinematografiche. Questo slancio creativo può intridere i nostri gesti quotidiani, questa è la ricerca più alta. A volte, ciò non può avvenire senza uno sfogo artistico parallelo, oppure, nei momenti migliori, esperiamo una sorta di esubero di presenza. Da qui può nascere un testo, una musica, una performance, un film… Quando però la realizzazione di un'opera non proviene da questo "luogo d’accensione", non si sta facendo ricerca artistica: in quest'ambito si usano ricette prestabilite, si cerca di convincere o sedurre un pubblico astratto e, nel peggiore dei casi, si permette che lo slancio creativo venga assorbito e omologato da produzioni finalizzate all’intrattenimento e all’omogeneizzazione sociale. Quando invece dei film si oppongono in toto a questo processo, con coraggio, generosità e spirito costruttivo, ne emergono dei film più o meno sconvenienti, capaci di rimettere in causa gli assunti del nostro vivere quotidiano. Se la maggior parte delle produzioni audiovisive funzionano come uno specchietto per le allodole, il cinema di ricerca è un danzare senza specchi. Le sue forme luminose e dinamiche son così sghembe e genuine che non si saprebbe proprio dove metterle, né come spettatori né come programmatori; eppure proprio quelle forme e quei movimenti possono inspiegabilmente arrivare a riattivarci singolarmente e pluralmente. Allora lo schermo smette di essere scudo, muro, propaganda, ideale, distrazione... E si fa ponte. Ci fa accedere al contatto con il pensiero altrui e alla nascita di nuove versioni di noi. Ci fa sentire porosi. Plurali. Energici, nella nostra fragilissima microscopicità. Potenti, o leniti nella nostra impotenza, in quanto partecipi. Crea un legame che si dà nell’eterogeneità e al di là dei ruoli sociali. E quel sentire e quel pensare, nati durante un ascolto o una visione, si propagano e accompagnano il nostro sguardo nel quotidiano. Fruire del cinema di ricerca significa insomma andare a zonzo con la curiosità e il desiderio in cuor proprio di imbattersi in un incontro autentico. Ovviamente, in quanto fruitori, ci apriamo e ci trasformiamo volentieri solo quando si riconosce nel gesto dell’artista un sincero sforzo di significazione e di convivenza con il non-senso. Così fare cinema di ricerca significa tentare di comporre gli stimoli e gli slanci che ci attraversano, rispettando la complessità delle cose, accettando la nostra mutante singolarità, tenendo alto il nostro senso di partecipazione e di responsabilità. Il cinema di ricerca può essere portatore di un afflato radicalmente democratico: un lavoro asservito all’intrattenimento non sarebbe cinema di ricerca così come non lo sarebbe un film che si sollazza nell'anticonformismo e nell’auto-referenzialità. Lunga vita al cinema di ricerca, in tutta la sua molteplicità.- AM